L’itanglese, una moda che fa male all’italiano e anche all’inglese

Da bello a beautyful” è un famoso intervento di Annamaria Testa, esperta di comunicazione, a un TEDx Milano. In quella relazione, da cui è tratta anche l’immagine dell’articolo, si evidenziavano i continui rimandi inutili a termini inglesi, una caratteristica tutta italiana che ha dato vita a un Frankenstein linguistico: l’itanglese. 

Da allora le cose sono cambiate? Oppure no?

 

L’itanglese continua a produrre “mostri linguistici”.

Tra i casi più popolari c’è una recente dichiarazione di Flavio Briatore che intende rilanciare l’italianissima Via Veneto con un prodotto innovativo: la “crazy pizza”. Ma non basta. Questa commistione poco sensata di lingue produce anche veri e propri strafalcioni come il recentissimo “My names is Roma” che compare nel video per candidare Roma a Expo 2030, pubblicato anche sulla pagina Facebook dell’attuale sindaco.

 

L’italiano, una lingua da amare e coltivare.

Anche se i linguisti non concordano con una notizia molto diffusa che vede l’italiano come quarta lingua studiata al mondo, è innegabile che ivi esiste un grande interesse per la lingua italiana e per il latino. Le parole che compongono la lingua italiana hanno una storia antichissima, ricca, elaborata e permettono una grande ricchezza di significati e sfumature. È un peccato quindi “farcire” un discorso con termini inglesi dato che per la grande maggioranza dei casi esiste l’equivalente italiano.


L’inglese, una lingua da rispettare e implementare.

Allo stesso modo, è davvero controproducente un utilizzo del termine inglese dove non sia strettamente necessario. La lingua inglese non è un territorio da depredare, ma un concreto strumento per comunicare ed evolvere come persona e come professionista. Non conoscere l’inglese, nel XXI secolo equivale a non saper leggere nel XX.


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